Se la pelle non è pelle… facciamo un pò di chiarezza

Dic 16, 2020Trend

Chi non ha mai indossato o anche solo desiderato indossare una giacca o una borsa in pelle?
Eppure sempre più spesso la crescente attenzione al rispetto degli animali o all’inquinamento influenza non poco il mercato d’acquisto dei capi di pelletteria.
Posti dinnanzi alla possibilità di acquistare un prodotto in vera pelle, la coscienza animalista, ecologica e sostenibile di un numero sempre maggiore di potenziali acquirenti si fa sentire sempre più forte, orientando le scelte d’acquisto in una prospettiva di maggior valore etico e, piuttosto della vera pelle, privilegia l’acquisto di un capo in altro tessuto, in finta pelle o quanto meno in eco-pelle.

 

Ma qual è la differenza tra “eco-pelle”, “finta” pelle e pelle “vegana”?

 

La denominazione di “ecopelle” (o eco-cuoio) viene assegnata alle pelli (di origine animale) che vengono conciate attraverso processi a basso impatto ambientale (vedi norma UNI 11427:2015).
Dunque, l’ecopelle è comunque un prodotto di origine animale ma più ecologico rispetto a quelli offerti dalla tradizionale industria conciaria, dal momento che viene lavorata con conce particolari, più sostenibili e prive di materie tossiche per l’uomo e l’ambiente.

 

 

Le “pelli vegane” non prevedono in alcun modo l’utilizzo di materie prime di origine animale. Si tratta di prodotti realizzati con fibre di origine vegetale (come ad esempio le fibre di cellulosa) o anche con materiali sintetici e plastici, le cosiddette “finte pelli” o “vinilpelli”. Tuttavia, secondo la normativa sopracitata, questi prodotti non possono essere definiti propriamente “pelli”.

Inoltre, pur rispondendo alle esigenze di un’etica animalista e avendo talvolta origine vegetale, prevedono spesso nei processi di lavorazione l’impiego di prodotti chimici tossici e nocivi per l’ambiente, come colle, addensanti, tinture, etc. che li rendono dei prodotti inadeguati a un scelta ecologica ed ecosostenibile, esigenza oggi non meno trascurabile e diffusa del carattere animal-free richiesto per gli acquisti vegan.

In breve, la scelta di rinunciare alla “vera pelle” sembra non evitare di incidere negativamente sull’ambiente e comunque richiede necessariamente agli acquirenti la raccolta delle informazioni tecniche corrette.

 

Allora per quale alternativa optare?

 

Oggi diverse risposte innovative, più sostenibili, sono offerte da brand che si aprono su nuovi scenari ecologici e/o vegan, proponendo prodotti di origine naturale, lavorati senza utilizzo di prodotti tossici o tecniche di sfruttamento animale e inquinamento ambientale.
Si tratta sia di ecopelli, realizzate per lo più attraverso gli scarti dell’industria ittica, sia di cosiddetti “bio-fabbricati”, materiali vegani di origine 100% vegetale, che hanno un bassissimo impatto ambientale. In alcuni casi, poi, i processi di produzione di questi materiali riescono a incidere positivamente anche sul miglioramento delle condizioni di vita, sull’economia e sulla disponibilità di maggiori risorse all’interno di intere comunità.

 

 

A tal proposito, un esempio innovativo di eco-pelle è la pelle del pesce Pirarucù (o Arapaima), un grosso pesce d’acqua dolce pescato in Amazzonia, che in passato veniva utilizzato solo per ricavarne cibo, mentre la pelle diventava un rifiuto ecologico che andava ad alimentare l’inquinamento ambientale.

Oggi si è riusciti a trasformare la pesca predatoria del Pirarucù in una pesca sostenibile, che ha garantito la riproduzione di un’ampia popolazione di una specie selvaggia in via di estinzione. Attualmente la pelle di Pirarucù, grazie alle sue caratteristiche, che ne fanno un materiale esteticamente bello e morbido ma anche molto resistente, è già utilizzata per realizzare scarpe, borse, accessori, vestiti, mobili, etc. Il risultato è un materiale completamente innovativo che da un rifiuto di pesce ha dato vita a un lussuoso prodotto biologico.

Inoltre tutti i processi di produzione sono gestiti in modo sostenibile, controllati dall’Istituto brasiliano dell’Ambiente e delle risorse naturali (IBAMA). Ciò ha assicurato un aumento di oltre il 425% in 10 anni di disponibilità di pesce in Amazzonia e tra l’altro ha aiutato a combattere la deforestazione (causata soprattutto dalle attività estrattive illegali) in questa regione.

Non vengono trascurate neppure le esigenze estetiche del prodotto: la pelle di Pirarucù offre infatti una vasta gamma di colorazioni e rifiniture che permettono anche la creazione di una straordinaria varietà di prodotti stilistici. Questo materiale ha inoltre ricevuto diversi riconoscimenti tra cui il titolo di “Best Exotic Leather” (2012) e “Best Fashion Leather” (2019) all’Asia Pacific Leather Fair (APFL) di Hong Kong e il Premio Leather Fashion Smart Creation alla Première Vision 2017, a Parigi.

 

 

 

Ancora più singolare è poi il materiale ottenuto dalle enormi foglie della pianta “Alocasia”, anche conosciuta come “orecchie di elefante”. Grazie ad un’innovativa tecnologia è stato realizzato un prodotto vegano con caratteristiche simili alla pelle, rinnovabile, confortevole e resistente.

È un materiale a bassissimo impatto ambientale, che promuove il rimboschimento e l’eco-sostenibilità: le foglie infatti vengono raccolte in aree sostenibili e la pratica del rimboschimento fornisce O2 all’atmosfera, riducendo il carbon footprint della sua produzione. Inoltre, i rifiuti organici vengono compostati e utilizzati come nutrienti del suolo, contribuendo a preservare il bioma, la fauna selvatica e i corsi d’acqua.
Il prodotto, disponibile in diversi colori e rifiniture, tra l’altro, ha ricevuto l’apfl Award nella categoria “Best Natural Material“.

Ma non finisce qui… oltre alle foglie, infatti, persino il legno può diventare un valido sostituto della pelle!

Un materiale realizzato a partire da schegge di legno, derivanti da alberi alla fine del loro ciclo vitale, unite insieme su un supporto di tessuto di cotone attraverso una tecnica di micro-laser.
Le evolute caratteristiche strutturali fanno di questo materiale una via di mezzo tra il tessuto e la pelle: grazie all’elevata flessibilità e resistenza si adegua perfettamente alle esigenze di tipo sia tecnico-pratico sia estetico, trovando applicazione nel settore automobilistico, nel design di interni, nella tappezzeria e nella moda (nella produzione di borse, calzature, accessori, etc).

 

 

E persino gli scarti della frutta possono trovare una seconda vita nella realizzazione di materiali con caratteristiche molto simili alla pelle. Si tratta di materiali realizzati a partire dalle bucce di mele, albicocche o banane, ma anche dai funghi, dalle fibre dell’acqua di cocco o delle foglie di ananas, fino ai residui di caffè, di uva da vino e persino al tè!

L’azienda americana VEERAH, per esempio, ha lanciato la prima linea di scarpe vegane, realizzate con bucce di mele biologiche, che conservano tuttavia l’eleganza e la raffinatezza di un prodotto di alta qualità.

E non è tutto… ecco lo zaino ‘pellemela’ realizzato artigianalmente per Fabriano, insieme ad astucci e cartelline, prodotti per il 50% di scarti dalle lavorazioni industriali delle mele del Trentino Alto Adige: